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LE TECNICHE DECORATIVE DEI MOBILI TIBETANI

Altre sezioni di approfondimento:

Sez. 1 - INTRODUZIONE AI MOBILI TIBETANI

Sez. 2 – LE TIPOLOGIE DEI MOBILI TIBETANI

Sezione 3

LE TECNICHE DECORATIVE

La caratteristica peculiare di ogni mobile tibetano è la decorazione pittorica. Le tecniche esecutive per la realizzazione di tali decorazioni si sono mantenute inalterate nel tempo.

Prima di descrivere come si eseguiva tradizionalmente la decorazione pittorica dei mobili, dobbiamo aprire una rapida parentesi e ricordare come nell’antico Tibet il decoratore di mobili fosse una figura professionale a sé stante. Il decoratore dei mobili e degli elementi lignei interni di un’abitazione o di un monastero (porte, colonne e travature che da elementi strutturali assurgevano sempre ad elementi decorativi),


veniva definito TSONPA per distinguerlo dai pittori di thangka e di affreschi. I tsonpa occupavano sicuramente un gradino più basso rispetto ai pittori veri e propri, i quali si erano sottoposti ad un lungo tirocinio per poter dipingere thangka ed affreschi normati da canoni rigidissimi.

Per descrivere le tecniche utilizzate nella realizzazione dei mobili tibetani, vogliamo stabilire un parallelo con le tecniche costruttive e decorative usate in Italia, in particolare in centri di eccellenza per la produzione artigianale quali sono state le principali città toscane per molti secoli a partire dal Medioevo fino all’avvio dell’industrializzazione.

Il parallelo ci sembra utile per meglio chiarire le peculiarità delle tecniche tibetane, ma anche per sottolineare il valore universale che questi manufatti, come i loro corrispondenti europei, hanno nel raccontare i riferimenti culturalie soprattutto la cultura materiale del popolo tibetano.

Facendo un salto di alcuni secoli, seguiremo il processo esecutivo tradizionalmente eseguito in Toscana per la realizzazione di cassoni dipinti e quello utilizzato per la produzione di mobiliin Tibet. Segnaliamo per altro che questo metodo tradizionale si è perpetuato negli ultimi secoli e si rinnova fin nei tempi recenti nonostante lo sconvolgimento che il modo di vivere dei tibetani ha subito a partire dall’invasione cinese del 1950 e soprattutto durante la Rivoluzione Culturale tra il1966 e il 1977.

Come dicevamo, il procedimento artigianale per decorare i mobili tibetani nelle sue linee essenziali non è molto differente dall’esecuzione di una pittura su tavola, pittura che per secoli si è eseguita anche in Europa per decorare sia arredi sacri (croci dipinte e polittici soprattutto tra il XIII e il XV secolo), chearredi secolari di vario tipo a partire proprio dai cassoni nuziali.

Tutto aveva inizio, sul tetto del mondo come nella verde Toscana, da un oggetto realizzato al grezzo da un falegname

·Prima fase: il falegname, dopo aver realizzato la struttura, doveva rendere perfettamente liscia la superficie. Quindi, se si trattava di una tavola da dipingere, il lato della tavola destinato a ricevere la pittura veniva ben spianato; si procedeva quindi all’eliminazione sia di tutte le cavità, colmate con segatura mista a colla, che di tutti i nodi, resi lisci con la carteggiatura. Stesso trattamento subiva anche il legno utilizzato per la realizzazione di un mobile. In Tibet, in passato, non era disponibile la cartavetro per carteggiare ed allora si usava un materiale di nome KOPSA, nome composto da KO (ovvero pelle) e SA (ovvero terra). Secondo quanto viene descritto in Wooden Wonders, per prepararela kopsa, si utilizzava una speciale pietra silicata con alto potere abrasivo incollandola su un pezzo di pelle. Con l’uso la pietra si consumava, ma la polvere di pietra rimaneva incollata sulla superficie della pelle, dando a questa l’utile potere abrasivo. A questo punto il falegname consegnava il mobile nelle mani del decoratore.

·Seconda fase: il TSONPA, ricevuto il mobile perfettamente liscio, poteva iniziare a preparare il fondo per la decorazione. Questa preparazione avveniva in due modi:in un primo modo si stendeva uno strato di colla di animale e poi un fondo di gesso realizzato con calcare o argilla, a seconda delle disponibilità locali, filtrati e mischiati sempre con colla animale; oppure in un secondo modo si ricopriva la superficie da dipingere con una tela di cotone, simile alle tele utilizzate per le thangka, ricoperta poi da uno o più strati di gesso. La scelta della tecnica era a libera discrezione del decoratore.

Nel passato in Tibet per l’ebanisteria si usavano diversi tipi di colla. Come da noi, esse venivano ottenute bollendo e filtrando pelli di animali. La colla di qualità migliore, detta HO PIN, veniva ottenuta bollendo la pelle di animali e purificando il composto ottenuto con diversi filtraggi. Asciugata al sole, questa colla si presentava a schegge irregolari di color ambra. Un'altra colla, ottenuta bollendo la pelle, era il PIN CHU, colla di qualità media, molto meno raffinata, che includeva piccoli pezzetti di carne secca. La peggior qualità collante era della colla di corna, detta RA PIN, che si presentava con un colore nero ed aveva un minore potere collante

In Toscana i procedimenti eranomolto simili siaper i mobili che per le più importanti tavole. Generalmente si procedeva con gesso unito ad un legante, come colle proteiche o la colla di pelle. Questo composto, una volta steso in vari strati, veniva levigato e lisciato. In altri casi la superficie, dopo essere stata spalmata con vari strati di colla animale, veniva lasciata essiccare e quindi ricoperta con una tela di lino. Questa cosiddetta “impannatura”, anche detta “incammottatura”, aiutava ad attenuare i movimenti del legno. Sul lino si stendevano vari strati di ‘gesso grosso’ e colla, li si lasciavano essiccare per alcuni giorni e poi se ne applicavano altri di colla e ‘gesso sottile’, cioè gesso sciolto in acqua e scaldato a bagnomaria. Quando l’ultimo strato era ben asciutto, lo si carteggiava accuratamente in modo da ottenere una superficie liscia e compatta pronta a ricevere la pellicola pittorica.

·Per poter passare alla decorazione bisognava preparare i colori che in Tibet come in Europa erano pigmenti naturali minerali e tinture organiche uniti a leganti. I colori base tradizionalmente presenti nelle decorazioni tibetane erano il rosso, il giallo e l’arancione, il verde, il blu ed infine l’oro.

§Il rosso era un colore derivato dal cinabro, o solfuro di mercurio, e poteva essere d’estrazione tibetana come anche arrivare attraverso le vie commerciali con l’India e la Cina, dove questo materiale era molto diffuso perché veniva sia estratto che prodotto chimicamente.

§Il giallo era ottenuto dall’ossido di ferro, mentre l’arancione veniva importato dall’India o dal Nepal, dove questi colorierano molto utilizzati anche nelle cerimonie religiose. Entrambi questi colori, piuttosto tossici, non venivano di norma scelti per colorare grandi superfici quali gli sfondi.

§Per quanto riguarda i colori verdi e blu, sempre Jonathan Bell in Wooden Wonders riporta:

“Entrambi il verde e il blu erano derivati da minerali, rispettivamente malachite e azzurrite, che potevano essere trovati negli stessi depositi nel TSANG, provincia settentrionale del fiume TSANGPO.”

In particolare sui mobili del XIX secolo, il verde era l’alternativa allo sfondo di colore rosso, rari erano i mobili con sfondi blu. In ogni caso, entrambi i colori venivano usati per definire i contorni dei motivi decorativi sullo sfondo rosso.Questi minerali venivano trasformati in sabbia frantumata e dovevano essere puliti e poi pestati con pestello e mortaio. Si potevano ottenere differenti sfumature di colore a seconda della finezza della polvere pestata: per un colore più ricco e profondo era richiesta una minor macinatura poiché più a lungo il minerale era pestato più leggero diventava il colore.

§Altro elemento cromatico importante molto usato nella decorazione dei mobili tibetani era il color oro.

Nella decorazione dei mobili era usata tipicamente la foglia d’oro, detta sershok, piuttosto che la polvere, al contrario utilizzata sempre nelle thangka. La foglia era applicata alla superficie con la miglior qualità di colla.Un’alternativa economica alla foglia d’oro, sebbene mancante della luminosità calda dell’oro e facilmente predisposta ad ossidare, era la foglia d’argento, che spesso poi veniva finita con una lacca gialla per produrre l’effetto dell’oro. Ancora più economico, e frequentemente usato nella decorazione di mobili, era il RAGDUL – l’oro tedesco – una polvere metallica usata per fare pitture metalliche, fortemente soggetta all’ossidazione.

Con la superficie del mobile perfettamente liscia e i tutti i colori predisposti per essere applicati, il decoratore passava alla realizzazione del motivo decorativo. Per questo si potevano applicare diverse tecniche:

    1.lo schizzo a mano libera con l’uso di un pezzetto di carbone

    2.l’utilizzo di apposite mascherine precedentemente predisposte (una sorta di stencil)

    3.l’esecuzione del disegno su un foglio di carta i cuicontorni venivano forati con piccoli buchi per permettere ad una polvere nera di carbone, distribuita lungo i tratti del disegno, di passare sulla superficie del mobile (questa era una tecnica non dissimile da quella utilizzata anche nella vecchia Europa)

Eseguito il disegno, si passava alla stesura del colore partendo dal fondo e poi ombreggiando dettagli e contorni.

Nella definizione dei dettagli, una tecnica specifica e molto caratteristica della decorazione dei mobili tibetani era il kyungbur, una sorta di gesso a rilievo. Se vogliamo mantenere il parallelo con le tecnichedecorative usate in Europa, questa tecnica può essere paragonata all’antica tecnica della pastiglia, miscuglio di gesso e colla che veniva applicato sulla superficie dei mobili per poi essere modellato secondo i motivi decorativi voluti.

In Tibet i materiali usati per ilkyungbur erano il gesso, la colla, ma anche una resina di nome wangla, lo zucchero e l’olio di semi di lino. Questo composto era applicato con una siringa fatta da un cono metallico con un buco ad una estremità e all’altra un sacco ottenuto utilizzando l’intestino di un animale. Premendo delicatamente e con costanza il sacco, si otteneva un regolare flusso di composto. Ovviamente, affinchè il risultato fosse perfetto, il composto non doveva essere né troppo liquido, perché si sarebbe squamato sulla superficie, né troppo secco o colloso, perché si sarebbe rotto ad asciugatura terminata. Per evitare il rischio di rottura a volte veniva aggiunta anche la chang, la tradizionale birra d’orzo tibetana.

Il composto era, secondo la tradizione, distribuito lungo i bordi del disegno o per punti su piccole superfici.

·Quando il kyungbur definiva il bordo del soggetto disegnato, doveva essere il più fine possibile, perfetto se dello spessore di un capello.

  • Quando invece il kyungbur era usato a punteggiare una superficie, era applicato in quantità molto maggiore proprio per dare rilievo al tema decorativo. In particolare era utilizzato per decorare due caratteristici temi iconografici:
    • le squame dei corpi dei dragoni (con una punteggiatura che iniziava con elementi più grandi e si andava rimpicciolendo avvicinandosi alle corna)
    • la testa dello ZIPAKS (sempre con una punteggiatura più o meno grossa). Lo zipaks è un animale leggendario, solitamente posto sopra le entrate quale guardiano o protettore del tempio o della casa; è un feroce animale, unione tra leone e drago, con corna ramificate, criniera e denti aguzzi.

Il kyungbur talvolta veniva utilizzato a libera discrezione dello tsonpa per rafforzare anche altri elementi decorativi simbolici (la fenice, la coppia di pesci, gli otto tesori, ecc). Questa valorizzazione dei dettagli conferiva a tutto l’insieme pittorico quel piacevole effetto materico che ancora oggi è tanto apprezzato.

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Sez. 2 – LE TIPOLOGIE DEI MOBILI TIBETANI

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