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INTRODUZIONE AI MOBILI TIBETANI


Sezioni di approfondimento:

Sez. 1 – INTRODUZIONE AI MOBILI TIBETANI

Sez. 2 – LE TIPOLOGIE DEI MOBILI TIBETANI

Sez. 3 – LE TECNICHE DECORATIVE DEI MOBILI TIBETANI



Sezione 1

INTRODUZIONE AI MOBILI TIBETANI

Lo studio degli arredi ci offre una doppia chiave d’ingresso al complesso mondo della civiltà tibetana: infatti sono proprio i mobili, in tutte le loro declinazioni tipologiche, che simultaneamente possiamo trovare nel mondo del sacro e nel mondo del profano, nei grandi monasteri come nelle residenze dei laici. I mobili sono sempre stati considerati dai tibetani soprattutto per la loro funzionalità e non sono mai stati visti come oggetti d’arte. Per questa ragione non esistono in Tibet arredi specifici esclusivamente usati per i templi, così come noi siamo abituati ad intendere gli arredi sacri delle chiese e delle sacrestie. E’ interessante notare come un popolo, per il quale il Buddismo ha permeato ogni aspetto della vita, abbia dato una risposta univoca, primariamente funzionale e molto pratica alle necessità materiali della vita religiosa, rendendo quotidiano ogni momento della pratica religiosa.

E risulta ancor più sorprendente se si ricorda come la distinzione tra il mondo religioso e quello secolare nell’arte, ed in generale per tutta la cultura tibetana, sia di fondamentale importanza. Il grande orientalista Tucci afferma infatti che nel paese delle nevi tradizionalmente:

“ (pag 67)… ci sono sempre due parti che devono essere distinte: uno è il mondo della religione, dei monasteri e degli eremiti…. sull’altro lato, fuori nella vita comune, c’è il mondo laico”

Questi due mondi vivono la loro quotidianità circondati da molti oggetti (anche se non proprio tutti) indifferenti al contesto, comunque presenti per la loro praticità.

Credenze in una tradizionale abitazione di Lhasa

Credenza fotografata nel tempio di Ramoche


Caratteristica fondamentale della produzione di mobili in Tibet è sempre stata la decorazione. Su strutture piuttosto semplici e con una relativa articolazione tipologica si trovano rappresentati simboli, composizioni floreali o scene di vita che riescono a toccare e colpire anche l’osservatore occidentale completamente digiuno. Cercheremo in un capitolo più avanti di dare alcune informazioni fondamentali per orientarsi nel complicato mondo di simboli e motivi propri dell’arte tibetana. Per ora vogliamo sottolineare un aspetto più generale ma non meno importante della decorazione degli arredi: i motivi riprodotti sui mobili, oltre ad essere testimonianza tangibile di quella straordinaria cultura materiale che vorremmo riuscire a descrivere attraverso i mobili stessi, vengono considerati dai pochi studiosi della materia la manifestazione più libera dell’estetica tibetana. Infatti scrive Jonathan Bell a pag 61 di Wooden Wonder:

L’incontestata abilità artistica e la raffinatezza nella pittura e nella statuaria religiosa tibetana sono spesso strettamente governate da scritture e trattati per non tradire la tradizione in materia di composizione, proporzione, uso del colore e soggetti.

Al contrario, i mobili tibetani hanno dato ad artigiani ed artisti un canovaccio molto più libero, offrendo motivi decorativi basati non solo sulla religione, ma anche sulla vita secolare e sulla natura…. In molti casi la decorazione di pezzi sia recenti che antichi impiega un’abilità artistica ed una libertà d’espressione raramente viste nella pittura di thangka o di affreschi nei templi….”

E così, guardando i pannelli di alcune credenze piuttosto che il fronte di molti bauli, possiamo osservare la rappresentazione più spontanea dell’affollato mondo di simboli e rimandi religiosi che ogni tibetano porta con sé, oppure la serena rappresentazione paesaggistica non certo sottoposta alle regole della prospettiva, che a noi occidentali sembrano tanto “naturali” da essere ritenute universali.

Da ultimo in questa introduzione vogliamo aggiungere un’osservazione generale relativa esclusivamente ai mobili antichi. Essi, i pochi esemplari rimasti in loco come anche quelli entrati nelle nostre case, sono tra le rare testimonianze sopravvissute della pittura vernacolare praticata in Tibet.

prova daniele

Credenza e affresco a Yumbulagang



















Per tutto il XVIII e il XIX secolo ci fu infatti una grande produzione di arredi commissionati dalle antiche famiglie aristocratiche ed anche dall’emergente classe media urbana composta da mercanti ed artigiani. I decoratori di mobili non avevano dunque come unico referente le gerarchie ecclesiastiche delle varie sette buddiste ma ricevevano commissioni anche dal composito mondo della “borghesia” laica ed urbana. Ovviamente questo diversificarsi della domanda ha dato luogo ad una grande differenziazione di temi decorativi nei pezzi che hanno circolato ed ancora si trovano sul mercato antiquariale. E se purtroppo durante la Rivoluzione Culturale gran parte del patrimonio artistico tibetano è stato distrutto, i mobili dei monasteri e delle abitazioni si sono“salvati” per la scarsa importanza che avevano agli occhi delle guardie rosse. Essi appartenevano certo alla vecchia società da distruggere, ma non ne erano testimonianza emblematica come le thangka, gli affreschi o le statue: sono perciò stati requisiti e ridistribuiti ad abitanti di villaggi anche molto lontani, per poi spesso venir riutilizzati impropriamente nelle cucine o nelle stalle dove la loro decorazione si è annerita a causa dei fumi e della sporcizia. Per tutte queste ragioni, oggi è molto difficile determinare con precisione l’esatta provenienza e l’epoca di un pezzo e ciò complica moltissimo la ricostruzione di un quadro generale di riferimento e rende quasi impossibile identificare le caratteristiche specifiche della decorazione vernacolare tibetana.

·Uno sguardo generale

Nel prossimo capitolo presenteremo un’analisi delle tipologie di mobili che più frequentemente abbiamo incontrato nel nostro lavoro di reperimento di arredi antichi. Ma prima di addentrarci nella descrizione tecnica dei mobili e delle loro decorazioni, vogliamo aprire una lunga parentesi e dare un contesto, seppure molto semplificato, a tutti questi oggetti.

La diffusione delle diverse tipologie di mobili è stata logicamente legata allo stile di vita dei Tibetani. A questo proposito bisogna ricordare come sul tetto del mondo ci sia stata, ed ancora permanga, una sostanziale distinzione fra:

- le genti nomadi (interamente o parzialmente nomadi) che vivono in tende di pelo di yak, dette dra nel Kham o rebo nel Tibet occidentale

- le genti stanziali con

·i contadini delle valli (rongpa)

·le comunità dei monasteri (sangha)

·gli abitanti delle città (aristocratici, artigiani e commercianti)

A proposito dei nomadi, essi sono sempre stati una parte cospicua della popolazione tibetana ed è fondamentale, per il ritratto della cultura e della società tibetana che vogliamo tratteggiare, chiarire la loro rilevanza numerica rispetto a tutta la popolazione tibetana e il loro ruolo rispetto alla cultura dell’altopiano nel suo complesso.

Gran parte dell’immenso territorio del Tibet storico era costituito da altopiani che presentano un’altitudine media intorno ai 4.000 m. e dove le condizioni di vita sono sempre state durissime (Changtang ad ovest e Amdo e Kham ad est). Il Tibet storico si divideva in 5 regioni: Amdo, Kham, Ngari, U and Tsang.

Dopo l’invasione cinese nel 1965 è stata creata la Regione Autonoma del Tibet (TAR, Kmq 1.200.000). Le autorità cinesi hanno dato solo una parte del territorio storico alla TAR, mentre il resto del territorio è stato ripartito tra le 4 regioni cinesi confinanti (Qinghai, Gansu, Sichuan e Yunnan).

L’attuale Regione Autonoma del Tibet coincide circa con il solo Tibet storico centrale ed occidentale, luoghi in cui nei secoli si è sviluppata la civiltà tibetana urbana. La TAR è ora divisa in quattro province:

- NGARI: è la regione occidentale della TAR. E’ un vastissimo territorio, scarsamente popolato, in cui si ergono la catena himalayana a sud e verso nordl’altopiano del Changtang con i suoi immensi laghi salati. In questa regione si trovano il Monte Kailash e il Lago Manasarovar, entrambi da sempre meta di pellegrinaggio.

- U: da secoli il cuore della cultura tibetana con la città di Lhasa, dimora dei Dalai Lama e la Valle dello Yarlung, culla della civiltà tibetana. Fu da questa valle che, a partire dal VII secolo d.C., i primi re Yarlung avviarono il processo di unificazione del Tibet. Luoghi della regione di particolare interesse storico, oltre a Lhasa e i suoi dintorni, sono il Monastero di Samye e lo Yumbulagang. Lo Yumbulagang, una ‘fortezza’ abbarbicata sulla cima di un dirupo, è considerata l’edificio più antico dell’intero Tibet.

Fortezza di Yumbulagang















- TSANG: storica provincia tibetana, da sempre unita alla provincia U, è sede dei principali centri urbani del paese dopo Lhasa, ossia le città di Shigatse e Gyantse.

- KHAM e AMDO: il Kham è la provincia orientale dell’attuale Tibet e il suo nome tibetano significa ‘quattro fiumi, sei catene’. Essa è una terra a sé rispetto il restante Tibet, sia per caratteristiche geografiche che climatiche. Nella regione si incontra una straordinaria varietà di paesaggi che vanno dalla giungla subtropicale della pianura, attraverso le praterie d’alta quota, ai ghiacciai del Namche Barwa (7756 m.). La gente che vi abita, i famosi Khampa, è considerata la più religiosa e allo stesso tempo bellicosa minoranza tibetana. A nord-est del Kham c’è l’Amdo, la parte estrema del Tibet orientale.

La popolazione tibetana residente in Tibet si aggira secondo le stime ufficiali cinesi intorno ai 3.000.000 di residenti. Una gran parte di essa (a seconda delle fonti da un quarto alla metà della popolazione) ancora oggi è nomade o seminomade; seminomadi sono le famiglie che trascorrono i mesi invernali in determinate regioni del paese e portano le loro mandrie al pascolo in altre regioni solo nei mesi estivi.

I nomadi, che vivono soprattutto, ma non esclusivamente nella parte orientale del paese, si dividono in

·Drogpa (pastori di greggi di proprietà di aristocratici o di importanti monasteri)

·Horpa (proprietari di greggi)

I nomadi tibetani sono genti esclusivamente dedite alla pastorizia. Allevano pecore, capre e yak e seguono le loro mandrie nelle praterie dell’altopiano alla ricerca di pascoli spontanei. L’esclusivo ricorso alla vegetazione spontanea rende la vita di questi pastori particolarmente dura, poiché l’alta quota dei pascoli riduce a un periodo brevissimo la stagione della crescita del foraggio; questo breve periodo va da fine aprile a metà settembre circa. Oggi la maggior parte dei nomadi possiede una casa con stalle in cui trascorrere il rigido periodo invernale e compie gli spostamenti verso i pascoli distanti soltanto nella stagione più mite. I nomadi si spostano in gruppi di più nuclei famigliari e gli accampamenti sono di diverse tende, in genere fino ad un massimo di dieci. L’accampamento principale viene costruito vicino ad una fonte d’acqua e nell’area di pascolo più ricca. Le tende sono a quattro lati e realizzate con teli ricavati dal pelo di yak. All’interno delle tende, la famiglia custodisce tutti i propri averi, tra cui non manca mai un altare di famiglia (lhakang) dedicato alle divinità buddiste e ai numi tutelari locali. Tradizionalmente le tende sono suddivise al loro interno in due aree: la tenda femminile e la tenda maschile. Nell’area femminile, normalmente a sinistra dell’ingresso, le donne svolgono i lavori legati alla produzione di latticini e curano il focolare; nella parte maschile sono alloggiati gli ospiti e si trova il lhakang. Ogni tenda ospita una sola famiglia, ma può capitare che una stessa famiglia abbia due o più tende montate vicine che vengono occupate dai suoi componenti; l’intera famiglia si riunisce per il pasto serale o per altri momenti d’incontro nella tenda principale. Se il gregge si allontana a più di un giorno di cammino dall’accampamento principale, bisogna raggiungerlo. E’ l’intera famiglia che si sposta con tutte le masserizie oppure, e più frequentemente, sono i figli con gli eventuali dipendenti a muoversi, utilizzando una piccola tenda di pelo di yak o una tenda da viaggio in tessuto. Le famiglie più ricche hanno sufficienti dipendenti, se non sufficienti figli, per rimanere stabilmente nel campo principale, che diventa una residenza permanente. Il campo principale è un luogo cui il nomade tibetano rimane legato tanto quanto noi stanziali siamo legati alle nostre case. I drokpa tibetani, infatti, si sentono più che nomadi soprattutto pastori ed in quanto pastori si differenziano dagli altri tibetani stanziali. E’ dalle loro greggi che i drogpa ricavano tutto ciò di cui hanno bisogno: direttamente per l’alimentazione, il vestiario tradizionale e i materiali per le tende ed indirettamente attraverso il commercio per i cereali, gli utensili vari e tutto ciò che possono acquistare.

Gli yak e le dri (le femmine di yak), le pecore e le capre forniscono latte fresco, pelo e lana da filare e pellame. I pastori trasformano gran parte della produzione estiva di latte in formaggi e burro, cioè in latticini che possono essere conservati e in seguito utilizzati quando nel periodo invernale la produzione di latte fresco è minore.

Burro di yak






Il burro mescolato con il tè è fra gli alimenti base della dieta tibetana insieme con la farina d’orzo arrostita (tsampa), il formaggio essiccato ed occasionalmente la carne di yak. Il burro fornisce ai nomadi un alimento ad alto contenuto calorico che integra le poche calorie ingerite consumando gli altri latticini e, per essere conservato, viene racchiuso in contenitori ottenuti cucendo assieme pezzi di stomaco di una pecora; può arrivare a durare quasi un anno. I formaggi secchi si conservano per periodi molto lunghi, degli anni se è necessario, e possono essere anche venduti o scambiati con altri prodotti.

Come abbiamo detto, il bestiame è la ricchezza dei drogpa e solo a causa di ristrettezze economiche un capo viene venduto, barattato o macellato. La ricchezza di una famiglia aumenta se si macellano o si vendono meno animali di quanti ne sono nati. La maggior parte delle famiglie macella comunque una pecora o una capra verso il termine di agosto per celebrare la fine della tosatura e poi, all’inizio dell’inverno, a seconda delle ricchezze di ognuno, si macellano i capi che forniranno la carne per il resto dell’anno.La macellazione dei capi, fatta verso la fine di novembre o i primi di dicembre, non viene solitamente eseguita dai nomadi, perché essa è ritenuta un atto negativo che accumula demeriti al karma di chi lo compie. Per macellare gli animali si ingaggiano altri nomadi, nomadi ‘impuri’, che per necessità economiche si rendono disponibili ad uccidere, castrare o marchiare gli animali dei greggi. Coerentemente con il credo buddista, i nomadi possono anche acquisire meriti, e quindi migliorare il proprio karma, affrancando un animale dal macello per sempre. Gli animali affrancati portano un anello di lana infilato nell’orecchio e sono chiamati tSethar. La scorta di carne garantita dai capi macellati è integrata grazie alla caccia. I nomadi hanno una grande passione per la caccia sia di animali da pelliccia, che di ovini e di yak selvatici, i drong. Le greggi non forniscono ai nomadi solo carne e latticini. Dagli yak si ricava pelo da tessere per i feltri delle grandi tende in cui abitare, mentre le pecore producono lana per la tessitura di abiti e pelli da utilizzare rovesciate come tessuti nei vestiti tradizionali.La chuba è il caratteristico abito indossato dagli uomini e può essere di tessuto o di pelle rovesciata. Esso è sempre completato da pantaloni di lana e occasionalmente da camicie o maglie di lana.

Nella lunga storia delle genti del paese delle nevi, le comunità nomadi e quelle stanziali hanno sempre mantenuto stili di vita caratteristici e tradizioni specifiche, trovando nel Buddismo il collante di base. Nell’articolato mondo sociale tibetano è sempre esistito un rapporto di reciproca dipendenza per lo scambio di prodotti alimentari e di merci. Come abbiamo descritto, nella società tibetana tradizionale i commerci erano assicurati dai nomadi, che vi si dedicavano nei mesi invernali, ed anche dai pellegrinaggi. Infatti in Tibet il pellegrinaggio ha sempre avuto una doppia valenza: è un fenomeno religioso ma anche economico.

Pellegrini al monastero di Samye

I nomadi commerciavano in beni di prima necessità, ma non solo. Il mercato cittadino permetteva, infatti, ai contadini di vendere la farina d’orzo, in altre parole la tsampa (il principale alimento della dieta tibetana), e ai nomadi di monetizzare o barattare la carne, il burro e il sale raccolto nell’altopiano settentrionale del Changtang o nei grandi laghi salati. Ma i prodotti commerciati erano di ogni tipo: gli stessi mobili vecchi incominciarono ad arrivare nei mercati di Lhasa e Kathmandu a partire dagli inizi degli anni ’90. A portarli in città dai villaggi furono i Khampa, gli abitanti del Kham, il gruppo regionale più numeroso fra le diverse ‘minoranze’ che abitano il Tibet. E’ interessante per la nostra trattazione riportare quanto scritto in Wooden Wonders a questo proposito:

“essi (i Khampa) descrivono le varie fasi del loro commercio come una lotteria. Molti dei pezzi vengono trovati completamente neri per il fumo delle cucine e apparentemente non vi è alcuna traccia di decorazione. I Khampa vendono gli arredi anneriti in lotto, proprio così come li reperiscono, per un basso prezzo forfetario; oppure in alternativa li puliscono con la nitro e li vendono singolarmente a prezzo di mercato, valorizzando la decorazione e le condizioni di conservazione. Sebbene il solvente non danneggi i pigmenti originali a base d’acqua, esso lascia delle macchie opache e offusca i colori; così per ravvivarli, i commercianti applicano spessi strati di vernice sintetica glassante, comprata nei magazzini cinesi. Il risultato di tale trattamento è davvero brutto e discordante con le caratteristiche del pezzo originario.”

Riportando la nostra attenzione sui mobili, si può affermare che la vita nomade ha fortemente influenzato la concezione di tipologie quali i tavolini da preghiera pieghevoli (tepchog) e i bauli da viaggio.
A queste tipologie, nelle abitazioni così come nei monasteri, si sono aggiunti vari tipi di bauli, credenze di diverse dimensioni, bassi tavoli per mangiare e bere il te, tavolini da lettura (pegam) e tutte le tipologie di mobili con funzioni religiose. Avremo una panoramica completa di questi mobili alla fine del prossimo capitolo.

Altre sezioni di approfondimento:

Sez. 2 - LE TIPOLOGIE DEI MOBILI TIBETANI

Sez. 3 - LA DECORAZIONE DEI MOBILI TIBETANI


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