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LE TIPOLOGIE DEI MOBILI TIBETANI


Altre sezioni di approfondimento:

Sez. 1 - INTRODUZIONE AI MOBILI TIBETANI

Sez. 3 – LE TECNICHE DECORATIVE DEI MOBILI TIBETANI


Sezione 2

LE TIPOLOGIE DEI MOBILI TIBETANI

Nella seguente trattazione abbiamo cercato di classificare per tipi i molteplici esempi di mobili antichi, vecchi e di nuova costruzione visti sul campo, tenendo conto delle classificazioni proposte sia dai pochi studi redatti che dai testi semplicemente divulgativi finora pubblicati sull’argomento.

Analizzeremo le diverse tipologie di arredi dividendole in tre grandi gruppi:

A - le CREDENZE (chagam e torgam),

B - i TAVOLI (chogtse e pegam),

C - i BAULI (gam).



A - Le credenze: chagam, torgam, e colonnine

Apriamo la descrizione delle diverse tipologie dei mobili tibetani con la grande “famiglia” delle credenze. Con questo termine intendiamo indicare mobili contenitori con una caratteristica comune, la presenza di ante per l’apertura sul fronte. Di contro in questa unica tipologia annovereremo pezzi con dimensioni molto diversificate fra loro e soprattutto mobili con funzioni completamente diverse.

La parola tibetana chagam traduce i termini credenza o armadio, cioè un mobile per contenere oggetti di varia natura che abbia indifferentemente uno sviluppo orizzontale o verticale.

A proposito delle credenze chagam, nel testo di Chris Buckley - uno dei pochi lavori esistenti sull’argomento - si può leggere come siano considerate una tipologia relativamente recente nella storia dei mobili tibetani, essendo comparse solo a partire dal XVIII secolo in un momento di sviluppo socio-economico molto importante per gli insediamenti urbani del Tibet. Infatti, a differenza di altre tipologie di mobili tibetani, non si trovano credenze chagam databili ad epoche anteriori ed inoltre esse hanno conosciuto una grande diffusione soprattutto nei monasteri e nelle abitazioni urbane di aristocratici, di artigiani e commercianti; ovviamente le credenze chagam non sono state adottate altrettanto diffusamente dai nomadi tibetani.

Tornando alla descrizione delle credenze, le case tibetane non sono mai state molto arredate e il principale tipo di contenitore multiuso era proprio il chagam. Sir Bell, ufficiale politico per il Sikkim, ilBhutan e il Tibet ai primi del XX sec. osservava:

A parte le cappelle con i loro altari, immagini ed altri paramenti religiosi, non ci sono molti altri arredi nelle case tibetane. Lungo i muri del soggiorno ci possono essere credenze di legno, per tenere vestiti e altro.”

Nelle grandi case dell’aristocrazia e della classe media urbana, le credenze chagam si trovavano nelle stanze principali dove venivano utilizzate a seconda del bisogno per riporre ogni sorta di oggetti, utensili, stoffe. Questo tipo di credenza era realizzato su misura per il committente e quindi, per la decorazione, si seguivano il gusto del cliente e la moda del momento, mentre per le dimensioni esse rispondevano alle necessità pratiche di spazio.

Troviamo così credenze di tutte le dimensioni: da mobili molto grandi, come quello della fotografia, a credenze di dimensioni più piccole. Talvolta per coprire la superficie di intere pareti, un mobile veniva realizzato in due o più “moduli” da affiancarsi l’uno all’altro e costituire così un insieme. Ecco anche spiegato perché talvolta si reperiscono credenze con il top aggettante da un lato e rifilato invece dal lato opposto poiché andava accostato alla credenza gemella.

Dal punto di vista costruttivo, i chagam sono semplici contenitori in legno realizzati con una struttura ad incastri. I quattro elementi portanti, detti montanti, posti agli angoli del mobile, venivano raccordati tra loro (nella costruzione reale del mobile in tempi diversi) da traverse collocate alla base ed in cima al mobile per tutti e quattro i lati in modo tale da costruire un parallelepipedo, rafforzato nella sua tenuta dal piano che successivamente avrebbe chiuso il volume. Nella maggior parte dei casi si aggiungevano a metà altezza quattro traverse per tutti e quattro i lati. Questa però non era una regola costruttiva generale: infatti non sempre troviamo lo schienale dei chagam diviso da questo tipo di traversa, ma si incontrano spesso, soprattutto in credenze di piccole dimensioni, schienali a pannello unico. Il volume a parallelepipedo così strutturato veniva chiuso da pannelli inseriti a scorrimento nelle scanalature precedentemente predisposte lungo i montanti.

La decorazione del mobile si concentrava sul fronte e sola raramente sui lati. Così, mentre i pannelli di chiusura dello schienale e dei fianchi erano semplici elementi in legno lasciati grezzi, la realizzazione del fronte era molto più complessa. Nella maggior parte dei casi la superficie del fronte veniva ripartita in più formelle, per ognuno dei due ordini che la traversa centrale creava, grazie all’inserimento di piccoli montanti. Queste formelle potevano essere di varie dimensioni e non sempre erano uguali fra di loro. Le quattro formelle centrali, due per ogni ordine, erano le ante di apertura e venivano incardinate alle traverse principali con dei piccoli perni cilindrici posti nello spessore della pennellatura. Questi pioli, che venivano ad avere la funzione di cardine, erano inseriti in buchi cilindrici nelle due traverse di sostegno del pannello. Per permettere l’eventuale rimozione delle antine, sulla traversa inferiore, era scavata una guida in modo tale che il piolo dell’anta, posta a 90°, potesse scivolare lateralmente rispetto alla sua sede. Questo tipo di costruzione era usato in Tibet anche per i grandi portoni dei templi e delle abitazioni, ma più in generale è caratteristico di vaste aree dell’estremo Oriente sia nell’architettura che nell’ebanisteria. Il montantino centrale veniva incollato ad una delle due antine, solitamente la destra,e svolgeva così la funzione di appiglio per l’apertura della credenza che si presentava senza alcun elemento metallico, né di decorazione, né strutturale perché tutte le parti erano incastrate ed incollate e non si usavano chiodi. Poi ogni formella e l’intera cornice strutturale erano decorati con un motivo omogeneo.

Credenze per specifiche funzioni sono i torgam.

I torgam erano usati per riporre il torma, un oggetto in burro fatto dai monaci come offerta alle divinità nelle cerimonie.



I Torgam che abbiamo avuto modo di studiare hanno delle caratteristiche specifiche che permettono di distinguerli nettamente dalle credenze chagam. I torgam sono stretti mobili contenitori, con una profondità che varia tra i 20 e 30 cm, e sono un po’ più alti di una comune credenza chagam, dai 110 cm in su. Possono presentare nella parte superiore un vano giorno, con ogni probabilità destinato ad esporre oggetti votivi, come anche essere arricchiti da una cornice in legno intagliata col caratteristico motivo a chotseg. L’intaglio chotseg si presenta come una decorazione a cornice di piccoli cubi ordinatamente alternati ed intervallati per la misura della loro stessa dimensione. I torgam non hanno la caratteristica struttura ad incastri e pannelli di tamponamento delle credenze chagam, ricordano piuttosto le più semplici tecniche costruttive dei bauli.



Un’ultima nota all’interno della tipologia delle credenze la vorremmo dedicare agli stipi a colonna per le lampade da burro nei monasteri. Questi mobili hanno le stesse caratteristiche costruttive e decorative dei chagam: solamente si sviluppano in orizzontale come una credenzina ad un unico pannello. Il decoro è molto spesso su tutti e quattro i lati e sulle tonalità del rosso. Più che arredi mondani in effetti essi erano tra i caratteristici arredi da monastero, perché affollavano i templi per reggere le grandi lampade da burro perennemente accese.

In altre trattazioni sono stati considerati nella tipologia dei tavoli, avendo la principale funzione di reggere le lampade da burro e non di contenere oggetti specifici.








B - I TAVOLI: Chogtse e Pegam

Al contrario di quanto si afferma per i chagam, i tavolini tibetani sembrano essere una tipologia molto antica, se non addirittura il primo tipo di arredo documentato in Tibet.

Molto approfondito a questo proposito è lo studio di Tony Anninos riportato in Wooden Wonders. Egli affronta la descrizione della tipologia chogtse provando a definirne le origini e l’evoluzione storica. Negando con una convincente trattazione le origini indiane e ponendo dei forti dubbi ad una esclusiva matrice indigena, Anninos esprime la personale conclusione che i bassi tavoli tibetani abbiano preso ispirazione dai tavolini cinesi kang (pag 97/98):

“…Una rara visione è inoltre offerta da un dipinto del XV secolo dalle grotte buddiste in Guge (Tibet occidentale) in cui anche sono dipinti bassi tavoli con gambe curve ed alti tavoli con gambe dritte con traverse, ancora richiamanti forme riconosciute dalla Cina.”

e poco dopo:

“…è notevole che dal XV secolo le forme dei mobili furono strettamente simili a quelle viste sui dipinti del Tibet centrale dei lama ed inoltre che queste forme appaiano ispirate dalla Cina.”

Il termine chogtse è generico ed indica la tipologia del tavolino, il quale sia nei monasteri che nelle abitazioni era usato di fronte ad una bassa piattaforma per sedersi.

Parlando di tavolini in Tibet bisogna pensare ad oggetti sostanzialmente diversi dai tavolini cinesi, ad esempio quelli kang, e da quelli occidentali.

Si tratta in genere di mobili più bassi degli omonimi occidentali e chiusi sui quattro lati da antine o pannellature che li trasformano in contenitori.

Essi possono essere:

·a base rettangolare, i tavolini da preghiera

·a base quadrata, i gyachog






Molto diffusi sul mercato antiquariale sono i cosiddetti tavolini da preghiera,








tavolini alti intorno ai 40 cm, lunghi intorno agli 80 cm e larghi tra i 35 e i 45 cm, cioè a base rettangolare. In particolare per i tavolini da preghiera, il retro poteva essere chiuso da una pannellatura uguale a quella degli altri tre lati, oppure poteva essere lasciato semplicemente aperto; si trovano anche esempi di tavolini da preghiera con lunghi cassetti apribili lateralmente oppure semplici tavolini con il fronte fisso accessibili internamente sul lato posteriore da una piccola antina scorrevole.


Oggi come in passato, essi affollano in file ordinate le sale dei monasteri dove si svolgono le lezioni o le cerimonie e vengono posti di fronte alle sedute dei monaci


Come si può vedere chiaramente dalle fotografie, le sedute dei monaci erano semplici piattaforme su cui si stendevano tappeti o cuscini o ancora in molti casi solamente i semplici tappeti impilati l’uno sull’altro.

Bisogna infatti dire che per le sedute in generale, i laici comei monaci, oggi come ieri, raramente utilizzano delle sedie, ma è tradizione preferire delle pedane più o meno lunghe (a seconda dello spazio a disposizione) e piuttosto profonde, coperte da materassini e tappeti, su cui è comodo sedersia gambe incrociate. Davanti a questo tipo di seduta, sempre si trovano tavolini con dimensioni e proporzioni varie ma comunque chiusi da pannellature decorate e sotto i quali non si possono mettere le gambe per sedersi.

Tornando ai tavolini da preghiera, su di essi si possono trovare appoggiati libri, i vari strumenti rituali, come la folgore e la campana, e le immancabili tazze del caratteristico tè tibetano sorseggiato durante tutto il giorno

Una versione piuttosto diffusa del tavolino da preghiera è il tepchog, il tavolino pieghevole. Questo tipo di tavolino ha solo tre lati, mancando sempre del retro, e tutti e tre questi lati si possono piegare internamente sotto il top, trasformando il mobile in una piatta tavola molto comoda ad essere trasportata. I tepchog erano ideali per le cerimonia fuori porta e per i picnic, passatempo molto amato dai tibetani che organizzavano tende per trattenersi anche per diversi giorni fuori casa. Questi tipi di tavolino inoltre si trovavano nelle tende dei nomadi, insieme ai bauli fra i pochi tipi di arredo adatti agli spostamenti necessari per seguire le mandrie al pascolo.

Infine i tavolini a base quadrata, i gyachog, si diffusero in epoca più tarda, a partire dal XIX secolo,

ed ora se ne trovano esempi soprattutto nelle riproduzioni. Sono mobili contenitori molto simili alle credenze sia per la presenza dello stesso tipo di aperture, che per la decorazione, molto varia nei temi anche se con una netta prevalenza di motivi floreali. Quando questi tavoli vengono usati per giocare ai dadi e a mahjong, i tibetani li chiamano bachog.

Un altro tipo di basso tavolo caratteristico del Tibet è il pegam. In tibetano il termine pegam significa letteralmente libro-scatola, essendo pecha libro e gam scatola.

Partendo dal nome avremmo dovuto inserire questi esempi tra le credenze; abbiamo preferito presentarli all’interno della tipologia tavolo per le evidenti affinità strutturali e funzionali con i tavolini da preghiera.

I pegam, al contrario della maggior parte dei chagam, sono sempre decorati sui fianchi e occasionalmente anche sul retro, diventando mobile da centro. Non sempre sul fronte presentano antine, ma come per i tavolini da preghiera, si possono trovare piccoli cassetti laterali o anche pannelli scorrevoli posteriori.

In origine questa tipologia di contenitore era realizzata soprattutto per offrire un banco per la lettura dei particolari libri tibetani (libri non rilegati) ed anche per contenere piccoli oggetti al proprio interno. Caratteristica è la presenza suitre lati del top (i 2 più corti e quello posteriore) di bassi pannelli, spesso sagomati e anche decorati; questi pannelli non solo abbelliscono il mobile ma soprattutto svolgono l’importante funzione d’appoggio per i fogli che man mano che vengono letti.

I testi tibetani sono nati sull’esempio dei sutra buddisti indiani: questi erano

libri formati da fogli di foglie di palma trattenuti da due copertine in legno senza rilegatura. I libri tibetani sono in generale un po’ più grandi dei sutra indiani ed utilizzano la carta piuttosto che le foglie di palma, ovviamente inesistenti in Tibet. I libri, soprattutto se patrimonio di monasteri, vengono riposti in specifici mobili, caratteristiche biblioteche, dentro alle quali questi testi, protetti da colorate stoffe ripiegate con cura, sono conservati. I tibetani sono convinti del beneficio che si ha a passare sotto le alte gambe delle biblioteche e spesso visitando qualche tempio si incontrano pellegrini chini sotto il peso metaforico di tanti testi.

C - I BAULI: Gam

I bauli, dopo le credenze, sono la tipologia di mobili più diffusa in tutto il Tibet. Erano utilizzati nei grandi monasteri, nelle abitazioni della aristocrazia e borghesia urbana come pure dai nomadi e perciò si presentano con una grande varietà di dimensioni, di materiali e di decorazioni.

Ancora oggi, nonostante i drammatici eventi dell’invasione cinese con tutto ciò che è seguito, in molti monasteri si possono trovare bauli di grandi dimensioni con le loro magnifiche decorazioni segnate dal tempo e dall’usura. Essi vengono utilizzati come generici contenitori e spesso si trovano semplicemente appoggiati lungo i muri del tempio o nelle stanze del monastero.

Originariamente questi bauli decorati erano utilizzati per contenere oggetti di particolare valore, quali i broccati regalati al monastero, gli accessori per particolari cerimonie o i costumi per i danzatori Cham. I bauli erano essi stessi inventariati fra i tesori del monastero e considerati parte integrante della ricchezza del monastero stesso.

Nella nostra esperienza, abbiamo incontrato sostanzialmente due tipologie di bauli, entrambe di forma regolare a parallelepipedo con base rettangolare:

·i bauli dipinti con il fronte riccamente decorato, i fianchi e il top solitamente meno riccamente finiti, normalmente di dimensioni piuttosto importanti.

·i bauli da viaggio in cuoio, di dimensioni più contenute. Nella maggior parte dei casi da noi incontrati, i bauli in cuoio hanno una struttura lignea ricoperta di pelle trattata. Secondo Buckley i bauli da viaggio erano realizzati esclusivamente in cuoio o con una leggera struttura in cannucciato intrecciato: essi erano molto leggeri, ma resistenti e sicuramente adatti al trasporto. Normali bauli da contenimento con la struttura in legno potevano anche essere ricoperti di cuoio, ma erano troppo pesanti per essere adatti al trasporto e venivano tenuti nelle abitazioni piuttosto che nei monasteri come i bauli dipinti.

Analizziamo la tecnica costruttiva dei bauli in legno.

Essi in generale venivano realizzati con una tecnica costruttiva completamente diversa da quella illustrata per le credenze. Erano costruiti con plance di legno tenute insieme da colla animale con il semplice “incastro liscio”, ottenuto bagnando le superfici da incollare con una forte colla d’animale, poi premendo entrambe le superfici per spremere fuori colla ed aria ed allineando bene le parti. Raramente, ma si trovano, ci sono anche bauli le cui plancesono incollate e integrate con incastri.

Il coperchio era incernierato allo schienale del baule con semplici anelli in metallo e presentava sul fronte un chiavistello. Lungo tutti gli spigoli, sulla superficie esterna, veniva messa della metalleria dalla caratteristica forma a baionetta. Elementi in metallo cesellato potevano inoltre decorare il fronte nei punti più delicati che necessitavano di rinforzo quali la zona del chiavistello e gli spigoli sia superiori che inferiori.


Per quanto riguarda la finitura e la decorazione dei bauli in cuoio, essi erano ricoperti di pelle trattata, materiale molto resistente e facilmente reperibile in tutto il Tibet. La superficie del top, del fronte e dei due lati veniva inoltre impreziosita dall’inserimento di un inserto in pelle di tigre, di leopardo o di broccato. Questi bauli in cuoio erano oggetti piuttosto comuni in Tibet, utilizzati da molte persone per trasportare ogni tipo di merce; erano parte del corredo delle famiglie di nomadi come pure potevano accompagnare un signore tibetano durante un pellegrinaggio, occasione importante per la vita religiosa, sociale e, come abbiamo visto, momento di scambio commerciale.

Bisogna notare come si trovino facilmente lavori di perfette cesellature per abbellire i bauli sia in cuoio che quelli dipinti. In generale la presenza di metalleria cesellata sul legno è una caratteristica decorativa in Tibet di molti oggetti e non solo. Ad esempio, perrestare nell’ambito degli arredi lignei, i portali dei monasteri come delle abitazioni più importanti (tipologia che qui non sviluppiamo nel dettaglio) riportano frequentemente sulle superficie dipinte meravigliosi elementi in metallo cesellato o anche perfette riproduzioni dipinte di cesellature in metallo.





Altre sezioni di approfondimento:

Sez. 1 - INTRODUZIONE AI MOBILI TIBETANI

Sez. 3 – LE TECNICHE DECORATIVE DEI MOBILI TIBETANI

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